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Sport e disabilità – Intervista a Kevin “gamba di legno” Ferrari

Lo sport è vita, gioia, ma anche dolore; lo sport è aggregazione, condivisione, ma anche individualismo e lotta contro se stessi. Lo sport è mobilità, disabilità e barriere. In questo articolo, cerchiamo di approfondire insieme al mitico Kevin il motivo per cui lo sport rappresenta un valore aggiunto incredibile per la società civile e il suo sviluppo.

Lo sport è vita, gioia, ma anche dolore. Lo sport è aggregazione, condivisione, ma anche individualismo e lotta contro se stessi. Lo sport è mobilità, disabilità e barriere.
Dopo aver riflettuto qualche minuto sul significato e sull’importanza dell’educazione fisica in età adolescenziale (cfr. la nostra intervista ad Alice Lazzaroni), oggi vogliamo dedicare questo articolo a un tema che coinvolge ognuno di noi: sport e disabilità. A tal fine, abbiamo pensato di coinvolgere Kevin, un ragazzo che sintetizza in sé tutti questi concetti. Prossimamente, sarà protagonista di una bellissima spedizione di arrampicata in Sud Africa: Rocklands 2018.

BeeClimber: Ciao Kevin e grazie per la tua disponibilità! Prima di tutto, raccontaci qualcosa su di te!

Kevin: Ciao a tutti! Sono Kevin alias Kelvin Gambadilegno Celsius e come dice il mio nome d’arte sono un monogamba. Oltre che uno sportivo sono anche uno studente di ingegneria ambientale a Trento, luogo nel quale ho scoperto il fantastico mondo della scalata. Ho iniziato ad arrampicare quasi per gioco, grazie al mio amico e coinquilino Michele Paderno. Tuttavia, pian piano è diventata una passione e mi ha spinto anche verso altre discipline sportive. Infatti, pratico il nuoto a livello agonistico e mi sto anche avvicinando al triathlon, che comprende anche la bici e la corsa.

BC: Lo sport per la disabilità rappresenta un valore aggiunto incredibile per la società civile e il suo sviluppo. L’attenzione normativa nei confronti di queste tematiche è massima, sia in Italia che all’estero. Tuttavia, purtroppo leggiamo spesso di carenze nel nostro sistema sportivo soprattutto a livello infrastrutturale: a volte abbiamo la percezione di non essere “culturalmente” pronti per adottare uno sviluppo così importante. Che idea ti sei fatto in questi anni – in merito a questo punto – praticando varie discipline sportive e conoscendo molte persone provenienti da ogni dove?

Kevin: Secondo me per molti aspetti in Italia siamo molto avanti, o meglio c’è molta voglia di fare bene. Ci sono molte persone disabili e molte normo dotate che stanno credendo in questo mondo anche perché, effettivamente, è davvero qualcosa di fantastico. È capace, a mio avviso, di trasmettere tanta positività e motivazione a chiunque. Per quanto riguarda l’ambito normativo, invece, ammetto che nel nostro Paese un disabile viene tutelato e aiutato in maniera non del tutto sufficiente, sia per quanto riguarda la vita di tutti i giorni, sia per quanto riguarda la vita sportiva. Questo è negativo, soprattutto perché rende ancora ampia la distanza che intercorre tra i cosiddetti normodotati e il mondo dei disabili.

L’arte del non cedere

BC: L’arrampicata – come tutti gli sport – richiede una forte dose di motivazione: ogni centimetro che guadagniamo in verticale è il risultato di un insieme esplosivo tra forza, tenacia e voglia di salire ancora più su. Alla luce di quello che è stato il tuo percorso di vita – sia prima che dopo l’incidente – come pensi di poter descrivere un elemento così importante come la motivazione?

Kevin: Per me la motivazione è l’arte, la disciplina del non mollare mai. Anche nei momenti “umani” in cui, invece, si vorrebbe mollare tutto e gettare la spugna è sempre a questa “arte del non cedere” che mi rifaccio. Come dice Marco Monty Montemagno, nell’esercizio del non mollare, il premio non è la vittoria e neppure il risultato che ottieni, ma è la persona che diventerai. Mi piace molto questa logica perché credo che, nella vita, non esista nulla come un fallimento assoluto, sbagliare non è che il modo migliore per “imparare”. Quando si scala c’è dolore, fatica e paura, soprattutto in via. La cosa bella è che quando arrivi in cima e ti guardi indietro, vedi quello che hai fatto, e non puoi fare a meno di sentirti fiero di te stesso e del risultato che sei riuscito a ottenere. La stessa cosa la penso per l’incedente, perché è stata dura superare le difficoltà post traumatiche. Però, quando poi piano piano si riesce ad allargare la propria zona di confort, espandendola, allora riesco a guardarmi indietro ed esser fiero di quello che sono riuscito a fare.

BC: Manca poco alla partenza di Rocklands 2018, spedizione boulderistica di due settimane che ti vedrà impegnato insieme ad altre persone sugli incredibili massi del Sud Africa. Come è nato questo evento, a cosa mira e come ci sei arrivato?

Kevin: È nato grazie ad un’idea di Pietro Rago, il nostro capo spedizione con il quale ero stato anche in Perù. L’obiettivo per il quale facciamo questo tipo di esperienze è quello di dimostrare che il “se vuoi puoi” è reale. Lo puoi raggiungere. Infatti, quello che ci piacerebbe perseguire è l’organizzazione di altre spedizioni con l’obiettivo di includere sempre più ragazzi/e disabili, per aumentare sempre di più la coscienza su questo tipo di tematica. Inoltre, queste esperienze ti entrano dentro e lasciano molto, facendoti crescere.È qualcosa che vale per tutte le persone. Non riguarda solo alcuni.

 

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