Tempo di lettura:

La rottura della puleggia – Intervista al Dott. Kelios Bonetti

Cosa sono le pulegge? Probabilmente la soluzione migliore per rispondere a questa domanda è l'utilizzo di una metafora. Immaginatevi una canna da pesca col mulinello: gli anelli in cui scorre il filo sono le pulegge, l'asta della canna è l'osso e il filo da pesca è il tendine. Come dobbiamo comportarci in caso di rottura? Proviamo a capirne di più con l'ausilio del Dottor Kelios Bonetti.

La rottura della puleggia: in una delle ultime foto arrivate in redazione, che peraltro ha riscosso un ottimo successo, il climber Francesco Sauro, involontariamente, ha introdotto il tema della lesione delle pulegge, argomento che volevamo già affrontare col dottor Kelios Bonetti, medico chirurgo, specialista in ortopedia e traumatologia, esperto in patologia arrampicatoria.

BC: Buongiorno Dottore. Considerata la corrente stagione invernale, avremmo piacere, oggi, a trattare l’argomento della rottura della puleggia. Potrebbe darci una breve descrizione della stessa e indicarci, qualora ci fosse, la correlazione scientifica con l’arrampicata a basse temperature?

Kelios: Probabilmente la soluzione migliore per spiegare cosa sono le pulegge è utilizzare una metafora. Immaginatevi una canna da pesca col mulinello: gli anelli in cui scorre il filo sono le pulegge, l’asta della canna è l’osso e il filo da pesca è il tendine. La funzione delle pulegge è esattamente quella di mantenere il tendine vicino all’osso, garantendone una corretta biomeccanica. Se l’anello della canna si rompe, il filo non starà più vicino alla canna. La stessa identica cosa succede quando si rompe una puleggia, ossia che il tendine non sarà più vicino all’osso, e quindi ci sarà un’alterazione della biomeccanica, con deficit della forza espressa, infiammazione, dolore, alterazione del normale arco di movimento e soprattutto un aumentato rischio di lesione delle altre pulegge. Sicuramente le lesioni di puleggia avvengono più facilmente con le basse temperature perché è più difficile scaldare in maniera funzionale la mano. In realtà il picco invernale è più pronunciato rispetto a 10 anni fa, ed avviene soprattutto indoor, questo lascia supporre che in verità la causa principale del picco sia l’aumento del training indoor di chi durante i periodi più favorevoli arrampica su roccia e quindi è più abituato ad arcuare e proprio in questo periodo fa carico.

BC: sempre riferendoci ad arrampicatori che hanno subito questo infortunio, statisticamente pare che il dito più colpito sia l’anulare. E’ una coincidenza?

Kelios: Le pulegge più a rischio statisticamente sono le A2 del medio e dell’anulare, appunto. Perché queste 2 dita oltre ad essere centrali e quindi più utilizzate, sono più lunghe delle altre e quindi vengono arcuate di più; ciò sottopone ad uno stress maggiore la puleggia A2. Bisogna, però, fare una importante specificazione. Spesso, infatti, si tende a confondere la lesione della puleggia con le lesioni dei vincula o dei crux, che sono cose ben diverse e che solo un professionista potrà riconoscere.

BC: come tutti gli infortuni, anche la rottura della puleggia ha una sua origine. Tuttavia, possiamo immaginare che ci siano dei comportamenti che incidano maggiormente sulla possibilità di infortunio, ad esempio scalare senza fare riscaldamento, o un peso eccessivo dello scalatore, o un’arcuata troppo violenta…

Kelios: chiaramente la causa non è mai una sola, ma molteplici. Generalmente, per quello che è la mia vasta esperienza nel campo, uno dei motivi principali è, paradossalmente, l’aumento troppo rapido del grado nei primi anni, raggiunto grazie ad un rapido aumento muscolare senza che il sistema flessorio abbia il tempo di ipertrofizzarsi.

Altro motivo è la scarsa attenzione verso le infiammazioni (che sono segnali che il corpo ci lancia) non appropriatamente curate e che rendono, alla lunga, il sistema flessorio meno resistente ai carichi. Sicuramente, come sempre, gioca un ruolo importante anche la sfortuna. Un piede che scappa quando le dita stanno tenendo una micropresa implica che le pulegge siano sottoposte ad uno sforzo violento e importante che può determinarne la rottura. Anche per questo, da anni, suggerisco ai gestori delle palestre di mettere appoggi per i piedi netti e non svasati, che ad oggi mi sembra assurdo che un climber debba affrontare un infortunio così serio mentre si sta allenando!

BC: un’ultima domanda. E’ sempre più frequente l’utilizzo del nastro, sia dopo una lesione della puleggia, sia in maniera oseremo dire preventiva. Da profani, quello che sembra, è che il nastro faccia le “veci” della puleggia, ossia vada a scaricare un po’ di pressione dalla stessa. Indubbiamente siamo consapevoli che giochi un fattore importante anche quello psicologico…

Kelios: il fattore psicologico è molto importante, come lo è il fattore antidolorifico, che però è controproducente in quanto ci porta a caricare più del dovuto, peggiorando la situazione rischiando di aggravare il problema o di cronicizzarlo. L’effetto meccanico invece è inesistente in quanto il sottocute quando sottoposto a compressione ha caratteristiche assimilabili a un gel/fluido per cui si sposta. È un argomento molto lungo e complesso, infatti abbiamo realizzato un video che attualmente è in fase di montaggio. In linea di massima possiamo dire che almeno il 50% delle nastrature fatte dai climber sono inutili, delle restanti la maggior parte è dannosa.

http://www.patologia-arrampicatoria.it

Continua a navigare