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Liberare la mente – Aldilà dei limiti – La storia di Andrea

"Vale davvero la pena fare attività ad alto rischio? Credo che la risposta non ce l'abbia nessuno, in molti ci chiediamo se ne vale davvero la pena, ma io forse, una risposta ce l'ho. Vale la pena fare ciò che rende felici e noi lo eravamo, lo eravamo veramente".

Vado in montagna fin da bambino e sono sempre rimasto incuriosito da quelle alte cime dolomitiche che mi sembravano inaccessibili, la Val Gardena era la mia seconda casa.

La mia storia “alpinistica” nasce nel 2011, quando mi iscrissi al primo corso di arrampicata, e l’anno seguente feci il corso alpinismo ARG1 al Cai Valle del Seveso. A fine 2014, la mia vita inizia a prendere una piega diversa, quando conosco Stefania in una palestra indoor. Con lei si instaura un legame sentimentale e nel contempo un percorso alpinistico, iniziando a fare più vie multipitch, canali e salite invernali.

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Eravamo sotto il periodo di Natale, ormai era tutto pronto per il cenone e per salutare un fantastico anno ricco di emozioni e grandi cambiamenti, avevamo preso anche casa insieme.

18 dicembre 2016 – Canale Nord Ovest Cimone della Bagozza

Orobie, ore 3.50, la sveglia suona, un caffè rapido e poi in macchina, il ritrovo con altri amici è alle 4.15 alla Galbusera di Agrate, destinazione canale nord-ovest del Cimone della Bagozza. Nonostante la reticenza di entrambi, per la sveglia pesante, partiamo alla grande e di buon passo raggiungiamo il canale nord/ovest (max 50° nell’ultimo tratto). In dubbio sulle condizioni generali ci leghiamo, in caso di ghiaccio, avremmo potuto, perlomeno, fare conserva protetta. Tutto fila liscio e arriviamo alla selletta che si affaccia sul versante sud, ripido, con totale assenza di neve. L’erba secca e l’incognita della via da seguire ci metteva ansia, inizialmente procedo io su roccette di II, poi, torno indietro, ritentiamo per sterpaglie ma decidiamo di rinunciare, mentre gli altri tre compagni decidono di continuare.

A chi non è mai capitato di trovarsi in un punto in cui inizi ad odorare il pericolo, quella sensazione fastidiosa in cui il dilemma è uno: scalare o ritirata? Spesso è quella lampadina che ti permette di portare le chiappe a casa o semplicemente per non trovarti in difficoltà superiori a quelle che in quel momento stai affrontando. L’incertezza del dopo oppure semplice consapevolezza delle proprie capacità. La paura deve essere presente in ognuno di noi, senza paura ci troveremmo tutti in situazioni pericolose. E’ quella sensazione che ti rende vigile, una linea sottile tra il trovare una scusa per non proseguire e tra obbiettiva impossibilità di proseguire. Quanto vale quell’azzardo? Vale la pena proseguire, rischiare un infortunio o addirittura la vita. Quel giorno abbiamo scelto di tornare sui nostri passi, ma…

C’era un’aria strana, decidiamo di tornare giù per il canale. Io esclamo “se scivolo su questa erba mi ammazzo”. Rientriamo alla sella e procediamo per la discesa, slegati, conoscevamo già le condizioni e avevamo già disarrampicato su quelle pendenze. La neve era dura, i ramponi tenevano, non c’era ghiaccio. Procediamo con cautela, “Ste, stai attenta con quei laccetti dei ramponi, legateli bene!”. Scendiamo per una quarantina di metri, all’improvviso, un urlo, in un attimo, mi giro, la vedo cadere, le grido “Frena!!” Quel canale era pieno di dune, dopo 2 secondi, non la vidi più!! Speravo si fosse fermata poco dopo, continuo a scendere, quasi di corsa, l’adrenalina mi saliva, non sapevo cosa pensare, minuti che sembravano anni, 200 metri di dislivello di canale, con un’angoscia inspiegabile, scendo, scendo, scendo, scendo, non vedo niente, scendo, continuo a non vedere e non sentire più nulla. Quel silenzio, quella solitudine, in un ambiente sordo, la montagna è come se avesse mangiato tutto. Scendo ancora, vedo pezzi di pane sparpagliati sulla neve, la trovo! Chiamo il soccorso. Spiego l’incidente, l’operatore chiede “in che punto si trova?” La mente in panico, cerco la destinazione su google maps – Schilpario, sono a quota 2.000! “Ok abbiamo individuato la cella, l’elicottero arriva”. Non sicuro e terrorizzato che non avessero capito, il telefono non prendeva bene, vedo alla base del canale un gruppo di 4-5 persone, grido: chiamate il 118!!!

Neppure oggi ho chiaro quanto tempo fosse passato, continuavo ad andare da una parte all’altra del canale, perché nel punto in cui era lei il telefono non prendeva e dovevo continuamente spostarmi per avere campo: quando tornavo da Stefania, nonostante non sia credente, pregavo Dio che non la facesse smettere di respirare. Quelle pause. Erano devastanti. Dopo un po’, vedo l’elicottero andare dalla parte opposta, richiamo il 118 – “L’elicottero sta andando dalla parte sbagliata”- mi rispondono qualcosa che non comprendo.

Dopo altri minuti vedo finalmente arrivare l’elisoccorso, fanno scendere medico e personale, cui cedo le piccozze per mettere in sicurezza il medico. Io avevo ancora su l’imbrago, mi recuperano col verricello e mi portano in ambiente sicuro. Ritrovo alla base, il gruppo che ho chiamato prima, mi aiutano a scendere, non ho mai avuto a che fare con tanta umanità. Mi rassicurano, o almeno cercano, mi lascio convincere ma conosco le storie di montagna, so benissimo cosa succede e quali possano essere le conseguenze. Arrivo alla macchina, scarico zaino e materiale. Avviso i miei di quanto successo. Ero ammutolito, svuotato dalla paura, entro al rifugio e chiedo solo un po’ di the, avevo freddo, troppo freddo. Il the credo di non averlo neppure finito. Si avvicina un anziano, credo fosse del rifugio, a cui confido solo alcune parole – sono il suo compagno – poi restiamo in silenzio, dentro tremavo. Come essere catapultato in un attimo, in un incubo, quelli che fai di notte, quando ti svegli con i battiti alti, sospiri, era solo un sogno! Io però in quel momento non mi svegliavo, ero già sveglio. Perché?! Come è accaduto?! Come è possibile?? Ero in attesa della chiamata, per sapere in quale ospedale l’avrebbero portata, chiamo: “non lo sappiamo ancora”. Richiamo: “Ospedale civile di Brescia”. Viaggio da solo con un milione di pensieri nella testa, nella speranza che Stefania potesse sopravvivere.

Purtroppo il giorno dopo, 19 dicembre 2016, Stefania perderà la vita e donerà gli organi.

Non si può abbandonare un sogno, lo dovevo anche a lei, ricominciai, con il terrore assoluto delle discese, ho tentato di risalire la Grignetta due volte, un paio di mesi dopo, ma una forza quasi soprannaturale me lo impediva, sensazione soffocante, come una voce maledetta mi diceva scendi immediatamente, ti fai male. Non ero nelle condizioni psicologiche di fare neanche il banale.

Poi da metà gennaio arrampicavo, arrampicavo soltanto, dalle 3 alle 5 volte a settimana. Arrampicare mi ha aiutato, mi ha liberato la mente.

Vale davvero la pena fare attività ad alto rischio? Credo che la risposta non ce l’abbia nessuno, in molti ci chiediamo se ne valga davvero la pena ma io, forse, una risposta ce l’ho. Vale la pena fare ciò che rende felici e noi lo eravamo, lo eravamo veramente. Nessuno ci ha mai obbligati a fare quello che facevamo, lo facevamo ed io continuo a farlo, perché amavamo scalare, per trovare la serenità in mezzo alle montagne. E’ un ambiente diverso dalla città, dalla frenesia alla quale ormai siamo abituati. Le terre alte sono un mondo più a misura d’uomo, violento, brutale come lo definiva Bonatti, ma che sa portare pace nell’anima, quella pace che insieme stavamo cercando di raggiungere. La paura di cadere, le sveglie notturne, l’adrenalina della neve, ci facevano sentire talmente vivi, fino al punto di essere consapevoli del rischio, ma non della morte.

Ad aiutarmi ci fu anche Michele, che conobbi durante una giornata di arrampicata a Rocca Sbarua. Lui mi ha aiutato a migliorare su ghiaccio ed io l’ho aiutato su roccia. Nel 2018 abbiamo scalato diverse volte insieme, indoor in settimana, in falesia e nelle vie multipitch, oltre a qualche ascensione semplice su neve nel periodo primaverile/invernale. Una salita mi è rimasta nel cuore, quella della nord del Mucrone: una salita con un grado in più, mi sentivo pronto di fare molte altre cose in montagna, ma quella fu l’ultima davvero impegnativa.

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Michele ed Io

6 gennaio 2019. Quel giorno ero andato da solo ad arrampicare in palestra. Finito l’allenamento, mi doccio, mangio qualcosa e bevo una birra: un momento dopo mi si gela il sangue. Whatsapp, è Alessandro: “ho bisogno di parlarti, è urgente”. Qualcosa non mi torna, lo chiamo, mi informa che è successo un incidente. Michele e Laura sono caduti dal canale Giannantony per circa 300 mt. Michele ha perso la vita, Laura verte in gravi condizioni all’ospedale di Brescia. Sempre il solito, maledetto ospedale!
Parto subito, con Laura non è possibile parlare ma si può vederla, era in coma. Con il passare delle settimane e dei mesi, Laura migliora, sebbene abbia subito la frattura del bacino ed un forte trauma cranico, ma ad oggi sta bene. Michele però, non c’è più.

A febbraio 2019, un mese dopo, incontro Silvia, ci siamo conosciuti su Facebook, lei abita nei Colli Euganei. A suo modo ha portato avanti anche lei la lotta con la vita e per questo ha saputo capirmi, insieme abbiamo intrapreso un nuovo sentiero. Continuiamo a scalare, ma anche ad interrogarci sul senso della vita. Lei dice che ogni nodo può diventare dono. Forse l’unico vero segreto è prendere il meglio che si può, comunque. Perché la vita rimane imprevedibile, anche dentro all’ordinario.

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Silvia ed Io

La vita è un dono! Spesso le cose brutte, tragiche, ti permettono di vedere la vita sotto una luce diversa, apprezzi le piccole cose, la natura, la bellezza di un tramonto. Inoltre, l’aver combattuto e sofferto ti porta a fare del bene e a cercare di aiutare gli altri. Dopo la morte di Michele ho sentito il bisogno di cambiare davvero vita. Lontano da una città che mi stava soffocando, troppi fantasmi, troppi ricordi negativi. Forse da lassù mi hanno fatto questo fantastico regalo che si chiama Silvia. Credeteci sempre, qualunque sia il vostro sogno credeteci, fino in fondo. Fino all’ultimo battito del vostro cuore. Accettate le sfide, sono il miglior modo per sentirsi vivi.

Condivido con voi questa storia anche per ringraziare tutte le persone che mi sono state vicino e che hanno permesso di farmi tornare a sorridere, e per voi che possiate trovare spunto ed esempio in queste due spiacevoli risvolti della vita. Vita che nonostante tutto continuo ad amare.

In memoria di Stefania Caruana e Michele Spada

Ed un pensiero ad Alessandro Nuzzo, Laura De Tomas Pinter ed alla mia compagna Silvia Scagnelato

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Stefania e Michele
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Silvia e Andrea
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Silvia, Andrea e le pesche!

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