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L’educazione fisica come cultura: USA vs Italia, intervista ad Alice Lazzaroni

Da decenni oramai, in USA l’esperienza del connubio sport-scuola viene portata ad esempio nel mondo come modello di efficienza e serietà: all’attività fisica viene dato lo stesso valore delle altre materie, un po' per cultura, un po' perché lo sport fa parte della storia di tutti gli americani. Quali sono le differenze rispetto al nostro paese? Proviamo a riflettere su questi temi con l'aiuto di una studentessa italiana in California.

Dopo aver pubblicato la bellissima immagine australiana del nostro amico “fuori sede” Franz: Totem Pole, oggi vogliamo raccontarvi di una ragazza, Alice, che come tanti ha deciso di vivere un’esperienza di studio all’estero, in California. Paese che ci ha stimolati ad approfondire un tema caro a tutti noi: l’educazione fisica nelle scuole. Da decenni oramai, in USA l’esperienza del connubio sport-scuola viene portato come esempio nel mondo in quanto modello di efficienza e serietà, all’attività fisica viene dato lo stesso valore delle altre materie, un po’ per cultura, un po’ perché lo sport fa parte della storia di tutti gli americani.

BeeClimber: Innanzitutto, Alice, dicci cosa ti ha spinto a superare l’oceano per vivere questa incredibile esperienza!

Alice: L’idea di fare un anno via mi è venuta grazie ai miei genitori, i quali mi hanno sempre parlato di questa possibilità sin dalle elementari. Quando frequentavo la terza superiore, ho ricordato loro che era arrivato il momento per prendere informazioni e organizzare il mio 4 anno di liceo, possibilmente in USA. Abbiamo partecipato alle riunioni di 3 associazioni e alla fine abbiamo scelto quella che si adattava di più alle mie esigenze.

BC: Nel sistema americano, da quanto abbiamo letto, lo sport è parte integrante della vita scolastica, fin dalla prima infanzia. Ed è proprio la scuola a farsi carico dell’educazione sportiva del bambino: il sistema scolastico statunitense non solo supporta, ma addirittura favorisce e indirizza all’agonismo, molto popolare nelle stesse università. Tu sei una tostissima climber italiana e stai vivendo in prima persona il mondo dei college americani, qual è la percezione che hai avuto in merito a questo punto?

Alice: C’è molta differenza tra il mio liceo italiano e questo americano. In USA tutto ruota intorno alla scuola, dopo le lezioni per esempio ci si incontra tutti nei così detti “club sportivi” che sono gestiti direttamente dalla scuola e possono essere frequentati solo dagli alunni. La scuola propone diversi sport, a seconda della stagione ed è rarissimo che gli studenti si allenino in una palestra esterna o facciano parte di un team che non sia quello della scuola. In Italia invece è comune che lo sport lo si pratichi in altre strutture.

BC: Troppo frequentemente, purtroppo, capita di sentire che gli importi elargiti dalle istituzioni pubbliche per le borse di studio all’estero, sono troppo bassi per consentire agli studenti di partire e di vivere dignitosamente nel paese ospitante. Un’esperienza come l’Erasmus, ad esempio, viene a volte vista come un lusso e non come una grande opportunità di arricchimento personale. Del resto, senza borse di studio, le spese da affrontare sono molte, cosa ti senti di dire in merito a questo argomento?

Alice: Sicuramente per una famiglia è un costo non indifferente. Io sono stata fortunata perché i miei genitori potevano investire e hanno voluto farlo, ritenendo che per me sarebbe stata una grande opportunità, un’esperienza che avrebbe condizionato anche il mio futuro lavorativo, dandomi più possibilità di scelta e imparando l’inglese a un livello altissimo. Abbiamo anche cercato borse di studio per sostenere i costi, ma alla fine non ci sono i fondi, nonostante la mia pagella avesse voti buoni.

BC: In USA sono soprattutto le università a “sfornare” grandi campioni. Le tradizioni sportive accademiche sono ben radicate da decenni di risultati: Yale e Harvard significano canottaggio, l’università del North Carolina ha reso celebre il basket prima ancora di Michael Jordan, quella dell’Alabama si distingue per l’atletica leggera (Carl Lewis, vi dice nulla?). Il climbing è relativamente più giovane rispetto ad altre discipline sportive, ci domandiamo – da quello che vedi – se sia supportato dalle Università americane come gli altri sport tradizionali, inoltre questi istituti, che ruolo hanno nell’ascesa degli odierni top climbers?

Alice: L’arrampicata non è ancora entrata nel sistema scolastico americano e non fa parte dell’offerta sportiva, a differenza del Basketball o del Football. Per l’arrampicata ci si allena fuori dalla scuola, nelle palestre private che sono le più grandi e divertenti che io abbia mai frequentato. Nonostante siano tantissimi i climbers americani famosi in tutto il mondo, non lo sono diventati grazie alla scuola, né all’università. La scuola ha dato loro ovviamente una grande preparazione atletica, li ha avvicinati allo sport, ha dato loro solide basi ma ancora non offre un allenamento specifico per l’arrampicata, quello devi farlo al di fuori.

La studentessa italiana durante un allenamento in palestra
Alice Lazzaroni durante un allenamento

BC: Tra pochi giorni arriva l’estate, le vacanze si avvicinano e molti di noi non vedono l’ora di “prendere il volo” per qualche paese oltre confine. A tal proposito, tu sarai uno dei protagonisti che prenderanno parte all’evento Rocklands 2018, in Sud Africa, un interessante progetto che mira a dimostrare che la disabilità può essere uno stimolo per superarsi, invece che un ostacolo. Come e quanto ti sta aiutando l’esperienza negli States nell’affrontare questa bella sfida?

Alice: Sicuramente aver imparato l’inglese mi aiuterà moltissimo sia per Rocklands che per il futuro in generale, finalmente potrò parlare con chiunque senza pormi il problema della barriera linguistica.
Inoltre, passare un anno all’estero, lontana dalla mia famiglia, dai miei amici, dalle mie abitudini quotidiane, mi ha resa consapevole che – al di fuori dal mio piccolo mondo sicuro – le persone vivono in modi diversi. Ho imparato ad ascoltare e accettare le diverse storie che tutti noi abbiamo da raccontare, ho imparato a rispettare i diversi vissuti che ciascuno si porta sulle proprie spalle. Ho anche imparato che lo stile di vita americano è abissalmente diverso da quello italiano. Ho conosciuto persone straordinarie che con me condividono una passione smodata per l’arrampicata.

Rocklands sarà un’esperienza incredibile, documentata da un lungometraggio e poi da post quotidiani sui social network affinché chi è rimasto a casa possa condividere con noi questo viaggio. Lo spirito di Rocklands è quello di dimostrare che con la forza di volontà, la passione, l’amicizia si superano tutte le barriere. Ci sarà il confronto tra me e Kevin, due ragazzi normali, con l’unica differenza che io sono femmina, ho due gambe e Kevin è maschio e di gamba ne ha una sola. E naturalmente Pietro, il nostro “vecchio alpinista” che ha pensato questo viaggio, offrendoci la possibilità di partecipare.

BC: Un evento bellissimo, imperdibile! Non mancheremo di seguirvi tutti i giorni! In bocca al lupo!

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